Dopo l’ufficialità del potere mediatico detenuto dai colossi del web, dichiarata dagli stessi interessati, non potevano tardare i primi riconoscimenti dei Governi nazionali. Il primo passo? Stringere alleanze per capire dove tira il vento. Del resto, Google, Apple e Facebook sono potenti come nazioni del G20.
Indice
C’è del saggio in Danimarca
E’ di pochi giorni fa la notizia: la prima nazione a muoversi è la Danimarca. Il Ministro degli Esteri Anders Samuelsen lo ha dichiarato apertamente: a breve la nomina del primo Ambasciatore Digitale.
E’ una presa di posizione o, meglio, una presa d’atto. Il potere mediatico dei Giganti del Web, che con una velocità comunicativa ineguagliabile da qualsiasi altro media raggiungono milioni, se non miliardi, di utenti in pochi minuti, deve essere non solo studiato bensì integrato nelle logiche di Governo.
La Danimarca apre la strada. Si, perché sono molti i governi che ammiccano al potere di Google, Facebook e Apple. Lo fanno con cautela, per non sembrare arretrati (Italia compresa). Mai si sarebbero sognati di fare un passo del genere.
Ma si sa, basta che parta uno e c’è la corsa a non perdere il posto in prima fila. Che sia per convinzione o meno, la realtà è sotto gli occhi di tutti.
Su il Resto del Carlino le dichiarazioni riportate dal Ministro danese sono eloquenti. “Il valore di queste Aziende è talmente elevato che se fossero Nazioni mancherebbero di poco l’accesso al G20”, sottolinea Samuelsen. Poi partono le rassicurazioni di facciata: “Manterremo lo stesso modo di pensare nelle relazioni con gli altri Paesi. Nulla cambia”. Ma di fatto “…dobbiamo mantenere relazioni strette con le compagnie che più ci influenzano”.
Il diplomatico hi-tech
La nuova figura sarà un vero e proprio lobbista digitale. Lavorerà per avere strette relazioni con le compagnie che, in 10 anni o meno, hanno creato enormi ricchezze e una diffusione capillare nell’etere informatico. Parliamo di ricchezze molto più elevate di quelle di tanti paesi con i quali la Danimarca intrattiene rapporti diplomatici tradizionali.
Non ce lo insegnava Wikileaks, non ce lo insegnano neanche Trump o Beppe Grillo. Il web smuove le masse. Il passaparola ha una viralità pandemica. Si possono creare dinamiche virtuose o viziose con una facilità quasi disarmante.
Si può far crollare un’Azienda quotata in 2 ore. Si può letteralmente “sputtanare” (passatemi il termine) una celebrità o rendere famoso un emerito cretino in un battito di ciglia.
Bufale o no, quando il processo ha inizio è difficile fermarlo e la smentita spesso non è al 100% risolutiva. “Una petroliera che sversa in mare può essere arginata, ma lascerà sempre strascichi sull’ambiente”. La conseguenza logica è che lavorare a stretto contatti con i giganti del web è semplicemente imprescindibile.
Capire come si può veramente legiferare in termini cyber-security o di informatizzazione diffusa del territorio, per semplificare procedure ed abbattere costi, non è più un’opportunità ma una necessità.
Che Zuckerberg l’abbia già capito da un po’?
Ho già commentato in un altro articolo come le strategie del 2017 del caro Mark lascino presagire ad un futuro politico per l’ex nerd di White Plains. Visiterà tutti gli Stati americani ed incontrerà direttamente i cittadini.
Il subbuglio nel mondo politico è evidente. Pensate che effetto potrebbe avere una sua candidatura diretta ad un ruolo strategico. Senza smuovere un dito si ritroverebbe con milioni di voti; “semplicemente” per avere connesso tra loro le persone ed avere azzerato enormi distanze in tempo reale.
Ovviamente l’interessato smorza i toni. “Il mio mestiere è connettere il mondo e dare voce a tutti”. Ma sarà veramente così? Non aveva forse dichiarato che voleva capire i nostri pensieri prima di noi, per poterci guidare nel soddisfare i nostri bisogni? Bè, se ciò avvenisse in modo etico sarebbe esattamente il ruolo di un politico; altrimenti, di un pericoloso manipolatore.
Ma non siamo tragi-comici, dai! Io credo al caro Zuckerberg…per ora.
E l’Italia?
Nel Bel Paese qualcuno aveva già provato a spingersi un po’ oltre. Rodotà aveva proposto di inserire nella Costituzione l’art. 21-bis, per stabilire che “tutti hanno uguale diritto ad accedere alla Rete internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.
Certo, detta così potrebbe sembrare una bella dichiarazione programmatica da tradurre in un modo o nel suo esatto contrario. Però sarebbe stato un passo ufficiale da precursori.
Non ci devono infatti sfuggire le cifre. Nel 2016, 39 milioni di italiani sono stati connessi ad internet (più 4% rispetto all’anno precedente). La parte da padrone ovviamente la fa il collegamento da cellulare. L’Italia è infatti il terzo paese al mondo per diffusione percentuale di smartphone, dopo Spagna e Singapore (fonte We are Social).
Insomma, futuro aperto…ma bisogna correre, perché c’è sempre qualcuno più avanti di noi!
Seguimi anche su Facebook e Instagram…non essere timido!