Comunicazione in azienda: il coraggio del cambiamento

Comunicazione in azienda: il coraggio del cambiamento

Comunicazione significa scambio di informazioni che partono da un interesse, passano per l’ascolto e portano al dialogo. Insomma, lo vediamo anche con i social network: non è un processo unidirezionale; il dialogo ed il confronto sono fondamentali, anche in azienda.

Quando si parla di risorse umane l’argomento è sempre molto dibattuto. In un’ottica consolidata, un dipendente è parte di un meccanismo che punta ad uno scopo; in altre parole, un elemento che si inserisce all’interno di una strategia che mira ad un obiettivo.

Il mercato guida le scelte

I numeri (fatturato, incassi, utili) indicano la direzione. Chi è al vertice di un Società prende decisioni insieme ai suoi collaboratori più stretti. Ciò è giusto, perché si presuppone che chi amministra abbia le competenze per compiere le scelte. Il problema però non sta nel “cosa”, bensì nel “come”.

Chi ha un ruolo direttivo od organizzativo è abituato a pensare ai propri collaboratori in termini di “pedine”. Definisce compiti, delega e controlla. Un processo mentale indirettamente mutuato dalla strategia militare di conquista, in un continuo gioco di difesa e attacco.

La comunicazione verticale in azienda per la crescita comune

Ciò andava bene in sistemi rigidi e chiusi, o autolimitati dalla diffusione delle informazioni. Quando gli strumenti mediatici sono di dominio pubblico come avviene oggi, il confronto ad ampio spettro è necessario perché il malcontento non è più celabile. L’emancipazione, in tutti i campi, ha seguito queste dinamiche.

Anche in azienda la comunicazione diventa aperta e senza fronzoli. Lo stipendio non è più sufficiente – in molti casi non è neanche la principale fonte di soddisfazione nell’ambiente di lavoro – perché il dipendente è a tutti gli effetti il primo portatore di interessi; il primo stakeholder come dicono gli anglosassoni.

Il coinvolgimento della forza lavoro nei processi decisionali è fondamentale non solo per motivare; è la forza motrice del miglioramento, per comprendere cosa non va e cosa può essere migliorato.

Chi esegue compiti imposti senza conoscere gli scopi e compiendo attività ripetitive, presto o tardi si sentirà frustrato e demotivato. Si trascinerà giorno dopo giorno, spinto dalla sola necessità di ricevere il bonifico mensile. Si spegnerà a livello emotivo, sul lavoro ma probabilmente anche in ambito privato, facendo danno all’efficienza produttiva dei colleghi e a sé stesso.

Viceversa, se sarà coinvolto nel progetto di crescita, potendo accedere a corsi di formazione, potendo esporre senza imposizioni la propria idea attraverso questionari valutativi, e toccando con mano i frutti dello sviluppo aziendale attraverso gratificazioni dirette, quale sarà la probabilità di vederlo entrare contento alle 8:00 di mattina, o anche prima, in azienda?

Chi si sente sia responsabilizzato che valorizzato è portato a condividere spontaneamente le proprie sensazioni, ciò che lo fa stare bene. Diventa il primo portavoce della realtà che vive, il primo ambasciatore ed il primo influencer. È ciò che si chiama employment advocacy: IBM, Cisco e Dell sono state le prime aziende ad introdurla nei propri processi produttivi.

In altre parole, il processo comunicativo interno diventa una forma mentale di approccio alla comunicazione esterna: i concetti si traslano nella vita reale, citando la fonte del beneficio ricevuto. Ciò crea empatia, poiché le situazioni che fanno parte del nostro vissuto sono comuni anche alle nostre cerchie di amici. Ci immedesimiamo per analogia. È questo il momento in cui, attraverso le nostre esperienze esposte in modo spontaneo, esercitiamo una potentissima seduzione in chi ci ascolta, portando un beneficio indiretto alla nostra azienda.

Il coinvolgimento degli impiegati parte stimolando coloro che hanno già dimostrato di essere i maggiori sostenitori della società. A loro volta potranno stimolare la partecipazione degli altri colleghi coinvolgendoli in modo attivo e non forzato.

Un ruolo importante può giocare la “gamification”, ovvero il momento di componente ludica e amichevole nell’attività lavorativa: una sala attrezzata con un calcio balilla o un punto di ristoro, un torneo aziendale, una cena, un aperitivo, ecc. I piccoli momenti di socializzazione aumentano il coinvolgimento volontario e la fedeltà dei dipendenti, senza stravolgere le gerarchie.

Perché tutto ciò è importante?

Per creare una community sempre più solida ed ampia intorno al marchio: se ne diffondono valori e benefici in modo naturale. Ciò porta a nuovi contatti, clienti e partner. Il castello ovviamente si regge solo se è veicolato e monitorato: i dati ottenuti dovranno essere analizzati per comprendere se i risultati siano in linea con le previsioni, o se sia necessario correggere il metodo e in quali punti.

Hai potuto sperimentare o vivere processi di employment advocacy nella tua realtà lavorativa?

 

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